Introduzione

"Come scrittori di romanzi non siamo capiti".
Introduzione di Ugo Gugiatti a "L'uomo delle taverne", romanzo del Pinchet

lunedì 15 maggio 2017

GANG - CALIBRO 77


Non potevano che essere i Gang, al secolo Marino e Sandro Severini, con la loro storia di rettitudine morale, con la loro coerenza e con il loro spessore ai confini dell'epico, a compiere un viaggio nel cantautorato politico e di impegno sociale degli anni '70, rivisitando a quarant'anni di distanza dei brani che hanno fatto la storia della canzone di lotta e protesta di questo Paese. “Calibro 77” è il frutto di un lavoro di ricerca attenta e rispettosa. Gli autori scelti sono parte della storia artistica italiana, i brani, anche grazie alla confermata collaborazione con il bravo produttore e cantautore statunitense Jono Manson, acquisiscono tutti quel sapore folk rock che era già presente nel meraviglioso “Sangue e Cenere”. Si parte forte con “Sulla strada” di Finardi e con la struggente “Io ti racconto” di Lolli e si approda a una delle canzoni più oscure e meravigliose del Principe De Gregori, “Cercando un altro Egitto”, che con l'aiuto dei fiati diventa una sorta di gioia collettiva, a dispetto di un testo a dir poco drammatico. Si torna sulle barricate con “Questa casa non la mollerò” di Gianco, per non parlare della “Canzone del maggio” di Faber, proposta in una versione che sembra addirittura migliore dell'originale, con un rispetto e un'interpretazione da parte di Marino che certamente avrebbero commosso l'autore. La chitarristica “Sebastiano” e l'acustica “Uguaglianza” di Della Mea e Pietrangeli introducono una delle canzoni più belle di Bennato, “Venderò”, manifesto terribilmente vero di quello che è il mondo del mercato nel quale siamo tutti irrimediabilmente e sempre più schiavi. “Un altro giorno è andato” di Guccini, rallentata all'estremo, diventa poetica come mai, mentre “Ma non è una malattia” di Manfredi è una vera festa musicale swing, potente e colorata come solo i Gang potevano renderla. Un capitolo a parte merita la canzone finale, “I reduci” di Gaber. Capolavoro assoluto. La perla più bella del disco. Qui Marino fa addirittura un lavoro di interpretazione e di cadenza che ricorda proprio il Signor G, commuovendo sia per l'argomento che per l'inflessione vocale. Nel complesso è certamente il disco italiano più bello, profondo, ricercato e studiato uscito in questo anno solare. Ma anche oltre. C'era da aspettarselo, ormai la premiata ditta Fratelli Severini e Manson è un marchio di fabbrica che garantisce qualità eccelsa e ritorno alle radici folk che fanno brillare della luce del New Mexico anche i testi immortali del cantautorato italico. Speriamo che questa collaborazione duri molti altri dischi ancora.

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